Viaggi e miraggi di R4C 2.0
«Alla fine di un viaggio c’è sempre un viaggio da ricominciare».
Le parole di Francesco De Gregori in “Viaggi e miraggi” sono le prime e più nette pennellate che userei, se fossi un pittore, per disegnare il ritratto di Ride 4 Creation. Lo abbiamo pensato così, io e Francesco, come un viaggio su due ruote, da replicare n volte, perché ci siamo accorti, dialogando, di essere continuamente interrotti da grida, quelle di cui Papa Francesco, ormai cinque anni fa, ci ha raccontato nella Laudato Si’, trasmettendocene la portata globale: il grido dei poveri e quello della Terra, interconnessi, fusi nell’unico urlo di dolore del Creato. Tutto. Eravamo sulla strada che unisce Santa Maria degli Angeli ad Assisi, scaldati dalle prime luci dell’alba, a rimuginare sulla nostra impotenza difronte alle criticità socio-ambientali emergenti dell’Oggi, quell’epoca che da un lato dovrebbe vedere noi giovani come i promotori e i protagonisti del cambiamento e che dall’altro ci tiene legati e relegati negli angoli più bui, sinistri e irraggiungibili della partecipazione alla vita sociale, politica, economica, facendoci eredi (quasi)inconsapevoli di decenni di Turbocapitalismo, di sguardi sulle mani l’uno dell’altro, piuttosto che negli occhi l’uno dell’altro.
L’idea di fare qualcosa per il Creato nasce proprio così: da un moto di ribellione, da un “non ci sto!” grande quanto una casa, le cui fondamenta affondavano e affondano nella carne dei nostri cuori, durante quella passeggiata più che mai permeabili. Il primo Ride 4 Creation è proprio questo: uno sfogo, ma anche un modo di lasciare un segno tangibile del nostro passaggio, del nostro “arrivederci”, a tutti gli Animatori del Progetto Policoro, quel mondo relazionale e formativo incantevole dal quale ci stavamo congedando, dopo tre anni di attività, per diventare “Animatori senior”, cioè i vecchietti non più in carica, ma “che rimangono animatori a vita”, impegnati sul fronte “Giovani-Vangelo-Lavoro”.
Più di trecento Km, da Sulmona ad Assisi, a cavallo fra novembre e dicembre 2019, sotto un’incessante pioggia, accompagnati da un freddo che nemmeno le maglie termiche mitigavano, affrontati fra sentieri impervi, super strade affollate di camion e auto, a farci forza per superare tutti quegli imprevisti – frutto delle contingenze, ma anche dei nostri errori da principianti – fisiologici di un cammino, che sia a piedi, su ruote, ideale, o reale. Spinti dal calore degli amici, benzina per i nostri polpacci, abbiamo scoperto come non
Abbiamo scoperto, in sintesi, di poter veicolare la conversione ecologica ascoltando, raccontando, abitando le relazioni, ripartendo dai territori, dal basso. Siamo diventati, grazie a questo felice disguido di ricerca, dei CicloAnimatori di Comunità, passando dalla sperata scoperta delle Indie, cioè la pedalata simbolica di scarsa lungimiranza, a quella delle Americhe, ossia l’idea di un laboratorio itinerante per la conversione ecologica delle comunità: un Ride 4 Creation più strutturato e organizzato, inteso come aggregatore di voci dai territori, fucina di idee raccolte dal basso e innesco ambulante di processi secondo la logica del prevalere del Tempo sullo Spazio e dell’”act local, think global!”.
L’idea di due giovani precari, amatori del crowdfunding e tanto facce di bronzo dal poter scocciare amici meno precari per raccattare qualche soldo da investire nell’iniziativa, sarebbe rimasta tale senza un confortevole e caldo «letto da ricordare», per dirla ancora con il Principe, cioè una preziosa iniziativa del Movimento Lavoratori di Azione Cattolica: il bando “Idee in movimento”, quell’ultradecennale cantiere di Bene Comune fatto di operai sensibili al cambiamento, racimolatori di idee generative da finanziare con i fondi dell’8XMille. Premiati, insieme ad altri tre progetti candidati da tutta l’Italia, abbiamo potuto davvero iniziare a pensare a R4C come qualcosa che lasciasse il segno, accostando alla testimonianza – data, raccolta – itinerante, l’attuazione di azioni concrete di cura del Creato, fattibili e impattanti nel breve termine (come la pulizia di aree verdi, ad esempio) e la co-progettazione di processi misurabili di conversione ecologica, impattanti nel medio e lungo termine, utili per innescare davvero il cambiamento. Ciò, sempre insieme alle comunità, ossia a chi sperimenta, giorno dopo giorno, le criticità di un territorio, che conosce e del quale può identificare i bisogni emergenti. Abbiamo chiamato questo nostro schema d’azione “incursioni generative”: pedalata, racconto, testimonianza, azione concreta, coprogettazione. Alla base sia dell’azione singola sia del percorso c’è sempre la stessa idea, fondamento anche della nostra opera di “pungolatori di coscienze”: tutti, davvero tutti, possiamo essere parte del cambiamento, già solo migliorando le nostre abitudini quotidiane, i nostri stili di vita. Questo schema è stato – parzialmente, per ora – attuato durante la nostra seconda pedalata a tappe, parte integrante del progetto candidato al bando vinto, intitolata “Ride 4 Creation 2.0 – sulla via della Pace”, in onore di un personaggio profetico, ispiratore: don Tonino Bello.

La particolare condizione pandemica globale, esempio lampante dell’acuirsi delle grida veicolate dalla Laudato Si’, le cui conseguenze tutti sperimentiamo ancora e che per noi è una scuola dalla quale imparare, con umiltà, a stare nuovamente e diversamente al mondo, ci ha permesso di montare in sella solo ad ottobre. Dal 2 al 9 abbiamo pedalato le strade che da Bari, passando per Matera, Policoro, Taranto e Lecce, conducono fino alla “fine delle terre”, Santa Maria di Leuca, la nostra «bella ragazza, begli occhi e bel cuore», raggiunta solo perché sospinti da un vento più forte dello Scirocco sempre contrario: il calore di tanti amici e partner. A noi si è aggiunto Gianluca Capanna, giovane aquilano, che ha portato nel laboratorio itinerante il valore aggiunto della biodiversità, sensibilizzandoci a partire dall’importanza del piccolo – le api, di cui si occupa con amore – in funzione del grande – il Creato.
R4C 2.0 è stato un pellegrinaggio in bicicletta, dei cui effetti purificatori ci stiamo ancora nutrendo. Lo abbiamo condotto seguendo i quattro verbi del viaggio, cari al nostro amico don Gionatan De Marco, salentino e prete: partire, raccogliere, contemplare, contagiare. Oggi, siamo all’ultima fase, quella della contaminazione, perché un viaggio non è mai solo di chi lo fa; e raccontarlo significa donare, stimolare, incontrarsi: tessere fraternità.
La partenza, la chiamata al Bello che ci attende, è sì concreta, da Adelfia, ma soprattutto simbolica: ancora l’abbiamo addosso, perché è tanta la voglia di rimetterci a pedalare. Il raccolto, cioè quell’allenamento dello sguardo, della testa e del cuore a scorgere la Bellezza, gli elementi WOW sparsi nei luoghi, è di un’abbondanza che commuove: da Matera, splendida nelle sue contraddizioni, al mare in burrasca di Metaponto, passaggio obbligato per Policoro, che ci accoglie nel centro dove, 25 anni fa, don Mario Operti creò il Progetto omonimo, insieme a dei Vescovi lungimiranti. Poi Taranto, dove la vita – il lavoro – e la morte – sempre il lavoro – s’intrecciano, creando una rete complessa, che non si può decifrare semplificando. Lecce, cibo per gli occhi, e poi giù, da Brindisi, fra Galatone, Galatina, Cutrofiano, Taurisano a disperdersi fra ulivi morenti e semi di speranza, incastonati in una grecità ancora splendente. Alessano, la nostra meta ideale, con la sosta sulla tomba di don Tonino, di cui abbiamo sentito le carezze, dove ci siamo commossi, tutti e tre, nel silenzio, pregando. E poi quel belvedere, dove i mari s’incrociano, da scorgere al fianco alla Vergine “de finbus terrae”. E gli occhi e le storie delle persone, dai frati che splendidamente ci hanno accolto a Matera e Taranto, in famiglia, a Muda, africano sfruttato, che oggi si batte nelle campagne lucane insieme ai NO CAP, per un lavoro libero e dignitoso. E ancora: gli incontri casuali, come quello con Raffaele, artista sui generis, che vive in una casa fatta di oggetti raccolti per strada e riusati, come mattoni di un rifugio costruito per tutelarsi dal suo essere e sentirsi incompreso, come gesto per ridare bellezza al “rifiutato”; quelli con i poveri del pranzo domenicale alla Caritas di Policoro, che gridano in silenzio e incarnano le stesse sofferenze degli indigeni di paesi lontani, primi fra tutti a sperimentare le povertà scritte nella Laudato Si’, raccontati dalle suore di san Giuseppe dell’Apparizione. Poi gli amici salentini, quelli che ci hanno accolti, ospitati e condotti per itinerari originali e per epifaniche «curve della memoria», accompagnandoci alla riscoperta delle vocazioni dei territori, incarnate nelle mani e nei cuori di chi, ancora, s’impegna per riscoprire e innovare la tradizione, per tessere reti generative, per innescare processi virtuosi per coltivare la speranza, fra cooperative, botteghe che sono segni concreti e grandi progetti dal respiro internazionale. La contemplazione, quel terzo anello del viaggio, il lasciarsi stupire da ciò che si coglie, è stata conseguenza naturale e forte, collante che ci tiene legati, ancora, a quanto abbiamo vissuto, che è stato, come già detto, catartico. Un itinerario di stupore, trampolino per un’ascesa al Bello, che gli arabi chiamerebbero miʿrāj, miraggio, uno di quelli che, tornando a De Gregori, ne cela un altro «da desiderare» e da «da considerare».
Il prossimo.